Se mi fosse dato il compito di seguire fin dall’inizio un pilota neofito (sia esso ragazzino o adulto), la prima cosa che gli direi è: «Guarda bene il tuo modello nuovo di zecca, così lucido nelle finiture, così sinuoso in ogni sua parte. Guardalo bene perché a breve non sarà più così. Avrà ammaccature, graffi, pezzi rabberciati e la colla sarà la tua migliore amica. Sì, perché è inevitabile, e tremendamente scontato, che qualche incidente capiterà. Più o meno grave. Ma capiterà».
Ora, non sono certo il tipo che vuole scoraggiare fin da subito, quasi con uno spirito sadico. Anzi. Ma dire subito le cose come stanno, è anche questo un modo per far capire a tutti che… abbiamo a che fare con un hobby che necessariamente richiede un sacrificio – quasi fosse una divinità d’altri tempi. E ad essere sacrificato è proprio il modello: si capirà in fretta che forze quasi “oscure” lo tireranno giù di botto, lo faranno smusare a terra, ne devieranno la traiettoria di decollo verso l’immancabile campo di granoturco, avvicineranno magicamente i rami degli alberi ma soprattutto renderanno la forza di gravità quasi feroce. Che poi “oscure” lo potranno essere davvero forse nell’1% dei casi. Nel restante 99% si tratterà perlopiù di imperizia, e raramente di vera e propria “sfiga”. Quindi, anche nella quasi incredibile capacità del nostro modello di guadagnare il cielo (ancora oggi, nonostante la scienza mi spieghi il perché può farlo, mi resta un alone di fascino), alla fine non c’è nulla di misterioso: se cadi è quasi sempre colpa tua. Si rompe un meccanismo? Anche qui è probabilmente colpa tua, perché hai lesinato sulla qualità o non hai controllato bene prima di decollare. Te l’ha tirato giù una folata di vento? Ok. Ma perché volavi così basso? Ricorda che quota è vita, cioè finché stai in alto, puoi cercare di rimediare. E così via. Dunque, caro neofita, te la senti di continuare? Spero, per te, di sì.
Fattore educativo 1: la determinazione
Sono profondamente convinto che l’aeromodellismo possa essere molto educativo. Ad ogni età. In primo luogo giova alla determinazione. Alla luce della mia introduzione, è chiaro come solo una persona determinata possa decidere di proseguire e non lasciare il suo modello sonnecchiare – intonso – in garage. Ma, attenzione, si tratta di un livello di determinazione piuttosto mediocre. Ben diversa è ad esempio quella necessaria a iniziare e concludere un ciclo universitario; a restare legati ad un posto di lavoro; a smettere di fumare; a non smettere di sognare…
C’è chi magari, posto di fronte alla sola prospettiva dell’incidente (crash), decide di mollare. Altri invece possono accettare questo sacrificio imposto dalla divinità, ma solo a parole, e di fronte alla prima caduta, ricoverano tutta l’attrezzatura in soffitta. Altri ancora, infine, possono reagire con vari gradi di dolore (dal “ma porca miseria, va beh…” al “e ora che faccio?”) ma comunque, armati di colla, speranza e un pizzico di inventiva, rimettono le cose a posto e ripartono.
Ripartire… parola magica, coraggiosa, fiera. Ripartire significa mettere da parte la paura, e rimettersi in pista. Significa affrontare demoni più o meno brutti e cattivi, e dire loro: “Scansati, io ci riprovo”. Significa sentire le gambe tremare, le mani sudare, vedere il tuo modello come una colomba in mezzo a chissà quali falchi pronti a farla fuori. Ed ecco il secondo aspetto educativo.
Fattore educativo 2: la resilienza
Con resilienza si intende – per farla breve – la capacità di reagire in modo ottimale a stimoli negativi. Ripartire dopo un crash è ad esempio sintomo di resilienza. Ma… accidenti se insegna!
Qualunque cosa accada, dal brutto voto a scuola, alla fine di un amore, al lutto per un familiare o l’animale del cuore, ripartire significa (scusate l’espressione) “tirare fuori le palle”. Che poi lo si faccia strisciando tra pozze di lacrime e vomito d’anima, oppure con la faccia tosta incarnata ad esempio da Tom Cruise in “Top Gun”, poco importa. L’importante è alzarsi… in questo caso in volo.
Se riuscirò a farlo al campo, allora potrò farlo anche a casa, sul lavoro ecc. E viceversa: se sono in grado di farlo in casa, sul lavoro, perché non posso farlo anche in pista?
Fattore educativo 3: la socialità
I primi crash ti insegnano che avere degli amici modellisti è come trovare acqua nel deserto. A meno che tu non sia un bricoman con i fiocchi, ci sarà sempre l’amico che sa come muovere le mani, e da un catorcio spesso riesce a tirare fuori un modello ancora volante. Dunque coltivare rapporti di amicizia – sincera, però, non opportunista – è cosa “buona e giusta”. Anche in questo caso l’aeromodellismo può essere uno stimolo alla socialità. Ma attenzione: qui stiamo “giocando tutti”, cioè siamo posti per qualche ora in un universo parallelo dove non ci sono le regole dell’arena del mondo, semmai gentlemen’s agreements, ovvero regole diverse, più amichevoli, quasi più sincere. Quindi non fare l’errore madornale di “fare lo splendido” offrendo falsa amicizia legata solo al tuo tornaconto. “Beccarti” sarà facile… e inesorabili saranno le conseguenze.
Fattore educativo 4: la manualità
Ho appena detto che non tutti siamo bricomen. Tuttavia la necessità e l’ingegno, ti faranno presto capire che ad esempio uno stuzzicadenti non serve solo per pulirsi i denti… ma anche ad esempio per fissare una parte di ala; che il phon può raddrizzare un pezzo di fusoliera in polistirolo; che nell’acqua bollente puoi non solo metterci la pasta, ma anche un pezzo di aereo (per pochi istanti, però) al fine di ridargli vita.
Tutto questo, ovviamente, parlando di aerei perlopiù RTF (ready to fly) cioè da assemblare in poco tempo e far volare. Se invece vogliamo accennare a quello che per decenni è stato l’aeromodellismo, basato su autocostruzioni quasi da esperto artigiano, allora risulta ancora più evidente come questo hobby possa insegnare una manualità sopraffina. Ma non solo. Può allenare la pazienza, la precisione, la determinazione per finire il progetto ecc.
Fattore educativo 5: l’umiltà
Ahi… che parola piena di polvere e muffa, tanto poco viene tirata fuori dal vocabolario! Comunque… Appare quasi scontato che – secondo quanto detto prima – di fronte ad una divinità l’atteggiamento giusto sia quello di essere umili. Quindi anche di fronte al Dio Crash ogni atteggiamento spavaldo rischia di essere punito severamente. Ad esempio: non mi metto a fare un 8 cubano se appena appena so decollare col mio modello. Aspetto, con calma e pazienza di essere più bravo. Umiltà significa dunque non correre, fare un passo alla volta, ma anche avere il coraggio di tornare all’ABC del volo se per caso scopro di avere delle lacune o proprio dei limiti.
Umiltà è anche saper ascoltare i suggerimenti dei modellisti anziani (di esperienza, non necessariamente d’età) che quasi sempre sono volti ad una maggiore sicurezza, oltre che ad un piacere di volo più responsabile. Ma anche qui, prima occorre mettere in moto la socialità di cui sopra…
Umiltà significa infine accontentarsi di un modello basilare, magari non stupendo, ma utile per farti imparare i rudimenti. Per modelli super ci sarà tempo… e denaro.
Conclusioni: chi ha orecchie, occhi e cuore impara
Dunque l’aeromodellismo può essere un hobby educativo? Certamente sì. Ma come ogni cosa occorre “porsi in ascolto”, ovvero interpretare ogni segnale che può darci e tradurlo in consiglio, insegnamento, ferita da leccare ma poi da mostrare con orgoglio. Significa essere e restare umili di fronte al Dio Crash, ma anche al Dio Vento, alla Dea Gravità ecc. In questo modo si può crescere, a livello di pilota e di persona. Umili… non succubi. Ciò vuol dire affrontare tutto in modo cosciente, ma non strisciante. Perché di fronte alla Dea Paura molti potrebbero soccombere… inutilmente.
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