Ciao, maestro…
Ciao, maestro…

Ciao, maestro…

Questa mattina, all’alba, ho voluto scrivere a Elio. Finché era ancora in vita, seppur sedato e probabilmente incosciente. L’ho voluto fare di corsa, perché non avevo tempo. Non sapevo quando se ne sarebbe andato, e l’importante è che in qualche modo la sua anima abbia potuto recepirla. E avevo ragione. Poche ore dopo ci ha lasciato. Eccola la lettera. E’ il mio saluto, il mio ringraziamento, il mio dolore.

Stefano Nicelli, 4 giugno 2022

Ti scrivo mentre ancora ci sei. Anche se lontano, in un mondo sonnifero che ti tiene ancora qui con noi. E lo faccio di proposito, perché spero che in qualche modo le mie parole ti arrivino, finanche in un colloquio sottile tra anime.

Elio, amico, maestro di volo… Elio dal viso consumato come una pietra  della tua Sardegna e il carattere a volte ruvido come un foglio di pane carasau. Eppure pronto come una chioccia a raccogliere sotto la tua ala nuovi aquilotti, innamorati dell’aria. A dare loro consigli, istruzioni, coraggio e bacchettate. Perché il cielo spesso non perdona agli sciocchi la loro stupida arroganza, e i modelli… sì i modelli “hanno sempre ragione loro”, come hai ripetuto fino alla fine.

Nove anni fa, quando con timore e timidezza entrai nel “tuo Gruppo”, diventasti subito il “mio” maestro. La guida, il mentore, colui a cui affidare nuovi modelli da collaudare, la persona a cui chiedere incessantemente di parlarmi dei segreti del volo, del fascino del volo. E ho sempre “bevuto” le tue parole, anche a bordo campo, sapendo che da te avrei imparato. Ed ora che questo è diventato il “mio” Gruppo, ho sempre guardato a te come un saggio depositario di una storia lunga cinquant’anni. Un saggio dal quale a volte dissentire, in una dialettica intelligente e viva.

Non ho tempo. Non hai tempo. Ed allora vorrei che queste mie parole avessero “montato” un motore velocissimo, non certo quello del mio modello preferito.  E che l’aria fosse tersa e leggera. Invece ho il vento a sfavore, e lo sai quanto odi questa condizione. Oggi c’è vento forte e freddo che mi spira nell’anima. Un vento capace di sollevare la pelle a vecchie cicatrici. Mannaggia… la storia si ripete, fosse anche a 40 anni esatti. Sì, era il 1982 quando… ma non importa. Adesso no.

Impotenti come modelli spezzati, ti guardiamo avvicinare la pista, per un ultimo decollo. E lo facciamo con rispetto, in silenzio, come quando prendevi il volo con le tue bestiolone volanti, ruggenti in armonia col motore, irriverenti e gagliarde come poche.

Oggi ci sediamo a bordo pista. Ordinati. Disciplinati. Increduli. Sgomenti. Feriti. Sì, perché in fondo ti convinci sempre che certe persone siano immortali. Che la morte possa solo fargli il solletico al naso e poi salutarle con un marameo irriverente. Invece oggi guardiamo noi il tuo volo. E non ti diremo certo di “stare più a Est” o di “virare più in qua”. Vola come vuoi, maestro. Ora vola come vuoi, fregandotene di regole e sicurezza. Non so se il vento sarà per te buono o no. Ma mi hai insegnato che si vola comunque.

E allora buon volo, amico. Però, ti prego, fammi imparare qualcosa anche ora. Perché il domani sarà lunghissimo. Perché domani ti cercherò tra gli alberi del campo, in cerca dell’ennesimo consiglio. E di un sorriso rugoso.